Inquinamento del mare

Immaginate di essere in spiaggia, magari sul bagnasciuga questa estate, magari a giocare a racchettoni con un amico e che in mezzo alla folla spuntasse un camion dell’immondizia stracolmo di rifiuti e li scaricasse lì vicino a voi. Questo è quello che accade, secondo il dossier “The New Plastics Economics”, ogni giorno 365 giorni all’anno. Almeno 8 milioni di tonnellate di rifiuti finiscono in mare ogni anno e le previsioni sono addirittura più terrificanti, se non si registrerà un deciso cambio di rotta nel prossimo futuro. Continuando di questo ritmo nel 2050 i camion potrebbero essere 4 al giorno e le bottigliette di plastica presenti in mare potrebbero pesare complessivamente più dei pesci.

Nell’oceano Pacifico si può parlare addirittura di un’isola di plastica composta dagli accumuli di immondizia che galleggia. Le dimensioni di quest’area sono difficilmente definibili (dipendono dai criteri utilizzati per determinarle) ma variano tra i 700.000 kilometri quadrati (un’area grande come la penisola iberica) e i 10 milioni di kilometri quadrati (un’area come gli Stati Uniti).

Anche le acque del Mediterraneo sono molto inquinate seppur non da rifiuti di grandi dimensioni ma dalle cosiddette “microplastiche”. L’Agenzia Ambientale delle Nazioni Unite ha stimato che ogni giorno 731 tonnellate di rifiuti finiscono nel Mare Mediterraneo, il 92% di questi rifiuti è composto da microplastiche. E questo inquinamento, se possibile, è ancora peggiore di quello generato da rifiuti di grandi dimensioni in quanto le particelle che compongono le microplastiche vengono ingerite dagli animali che finiranno nei nostri piatti, con effetti tutt’altro che piacevoli per il nostro organismo.

Cosa possiamo fare per cambiare questa situazione? La domanda di plastica fatta registrare in Europa nel 2015 (ultimo dato disponibile) è pari a 50 milioni di tonnellate di cui il 70% registrata da soli 6 Paesi, tra questi è presente l’Italia. Il nostro Paese è nel podio come consumo di pro capite di acqua in bottiglie di plastica (178 litri pro capite, terzo dietro a Messico e Thailandia). Circa il 40% della plastica prodotta infatti diventa packaging, vale a dire ha uno scopo transitorio. Plastica che viene utilizzata momentaneamente prima di fruire del prodotto vero e proprio, di mangiare un cibo o di indossare un vestito. Dell’enorme quantità di plastica prodotta solo una parte della plastica viene poi riciclata, circa un terzo viene abbandonato nell’ambiente e, spesso, presto o tardi finirà per inquinare i nostri mari.

Che fare? Possiamo dare il nostro contributo a cambiare lo stato delle cose nel nostro piccolo? Naturalmente sì. Le vie per ottenere questo cambiamento passano da un lato dalla diminuzione del consumo di plastica e dall’altro da un corretto smaltimento della plastica utilizzata. Per questo vi chiediamo, quando fate i vostri acquisti, di prediligere i prodotti privi di packaging o con poco packaging. Un altro consiglio spassionato è quello di evitare di utilizzare acqua in bottiglie di plastica. Utilizzate l’acqua dei vostri rubinetti oppure, se non è bevibile, installate in casa impianti che la rendano bevibile. Non abbandonate mai oggetti di plastica per strada, in montagna o in prossimità dei corsi d’acqua e utilizzate solo ed esclusivamente i contenitori dedicati alla raccolta della plastica. Questi semplici e banali accorgimenti, che tutti conosciamo fin da piccoli, sono decisivi per la sopravvivenza dei nostri mari.

Ma il nostro contributo, seppur decisivo, può non bastare. Servono politiche globali per la diminuzione della produzione di plastica e per affinare lo smaltimento.

Alcune città, tra cui Amburgo (una delle più grandi città tedesche), hanno già messo al bando, almeno negli edifici pubblici, le odiosissime bottiglie di plastica. Sogniamo che anche in Italia le pubbliche amministrazioni facciano lo stesso, a partire dalle scuole. Le giovani generazioni non dovrebbero nemmeno conoscere l’espressione “bottiglia di plastica”.

Anche per lo smaltimento l’Italia può e deve fare di più. Ci uniamo in questo senso all’appello fatto da Legambiente affiché la plastica non “muoia” nelle discariche ma che venga riciclata o utilizzata per ricavarne energia.

Da parte nostra cerchiamo di dare il nostro contributo. Seppur possibile e come già fanno altre aziende, abbiamo sempre rifiutato di prevedere una versione di Bivo già pronto all’interno di una bottiglia di plastica. Questa versione potrebbe essere sì più comoda per qualcuno ma noi di Bivo preferiamo la “scomodità” di lavare lo shaker alle isole di plastica nei nostri mari.

I dati dell’articolo sono tratti da:

“The New Plastic Economy – Rethinking the future of plastics”; Ellen Macarthur Foundation; 2016.

“The Mediterranean Plastic Soup: synthetic polymers in Mediterranean surface waters”; G. Suaria, C. Avio, A. Mineo, G. Lattin, M. Magaldi, G. Belmonte, C. Moore, F. Regoli, S. Alian; Nature.

Per saperne di più sull’isola di plastica vi invitiamo a leggere questo breve articolo https://marinedebris.noaa.gov/info/patch.html della National Oceanic and Atmospheric Administration, un’agenzia federale degli Stati Uniti.